alcesticalzecchi


I made this widget at MyFlashFetish.com.


Liceo scientifico Temistocle Calzecchi Onesti di Fermo. Classe 4G.

mercoledì 30 aprile 2008

profilo storico

Profilo storico


Il profilo storico dell'insediamento di Marano (Cupra Marittima alta) appare archeologicamente caratterizzato da una alternanza di presenza di abitato sul litorale e di suo abbandono per arroccarsi sulle alture. Tale arroccamento appare privo di soluzione di continuità dall’alto Medioevo a circa la metà del XVIII secolo, epoca in cui si possono riscontrare le prime timide tracce moderne di reinsediamento sul litorale. Tale reinsediamento, inizialmente molto sporadico e graduale, appare poi aumentare esponenzialmente con l’unità d’Italia e la generazione immediatamente successiva al 1860. Scopo del presente studio è un tentativo iniziale di interpretazione iniziale di tale singolare fenomeno pendolare. Il centro abitato di Marano appare infatti contrassegnato sin dal primo Medioevo da un fenomeno di deterioramento continuo e costante del suo patrimonio edilizio, di estrema gravosità economica per la comunità residente. Tale fenomeno appare, a prima vista sia caratteristico dell’insediamento, sia enigmatico; e altrettanto enigmatico appare, sempre a prima vista che non ci si sia resi conto della natura endogenamente franosa del colle fino al 1870. Tale fenomeno appare paradossale all'estremo eppure senz'altro incontrovertibile.
Il dirupamento costante dell'abitato di Marano, infatti, risulta documentato senza soluzione di continuità dall'inizio del Medioevo. Non può non colpirci l'attribuzione continua di un fenomeno così persistente e oneroso per la comunità a semplice esposizione alle intemperie e a supposta presenza di acque sotterranee . Soltanto i sondaggi sistematici del 1870 stabiliscono, prima in maniera fortemente indiziaria, poi in maniera scientificamente probante la franosità endogena del colle. Che tale tipo di osservazione ottenuta mediante l'apposizione di marcatori nelle gallerie di sondaggio possa essere del tutto sfuggita alle epoche precedenti, e specialmente agli strati più umili della popolazione ci appare molto poco probabile. Se dal periodo preistorico a quello della decadenza dell’Impero Romano la mancanza di documenti superstiti può spiegare l’assenza di ogni rilevamento del fenomeno nel periodo Medioevale la documentazione di continua attività di riparazione edilizia è costante, e non raramente di tipo strutturale (mura,torri ecc ).

Per tentare di spiegare tale fenomeno diviene necessario supporre una vera e propria repulsione per gli abitanti dei luoghi ad abitare il litorale e dell’operare di una forza attrattiva verso l'insediamento sul colle, pur costoso in termini economici. L'unica problematica che si manifesta senza soluzione di continuità dagli albori del Medioevo (circa 600 d.C.) alla prima metà del 1800 d.C. nella zona appare essere, senza dubbio, l’iniziale irruzione della pirateria Araba,seguita poi da quella dell'Impero Ottomano nell'Adriatico. Tale realtà minacciosa, per gli indigeni, che coesisteva con traffici anche fitti e pacifici, e profiqui per entrambe le parti, pur spesso belligeranti (persino in modo atroce, a periodi) non può essere, secondo noi consistita nell'impedimento commerciale semplice, ma deve rifarsi ad una minaccia, e costante e concreta per la popolazione di semplici agricoltori e pescatori dell’area. È necessario ipotizzare che Nel millenio abbondante già indicato, sia esistito un vero e proprio commercio di esseri umani; e ciò probabilmente su entrambe le sponde dell'Adriatico, campo naturale di incontro e scontro delle grandi potenze storiche dell’area, Istanbul sulla direttiva sud orientale, e Venezia su quella nord orientale, con, alle spalle Vienna e Augsburg. Questa situazione che a noi appare più caratteristica di epoche preistoriche che di epoche civili e relativamente civili deve avere caratterizzato la costa di Marano per ben oltre un millenio. E Più che stupirci di tale sicura realtà, un indagatore non troppo gravato da pregiudizi non può fare a meno di concludere che il vero fenomeno singolare appare essere la pressoché totale rimozione di quasi ogni memoria del fenomeno nella popolazione.

PROTOSTORIA PICENA
Dopo una presenza umana sui colli circostanti risalente senz’altro al Mesolitico, il colle di Marano appare e abitato e centro cultuale di spicco nella penisola già all'epoca delle prime tracce culturali "Picene" (IX- X secolo a.C. ). Una delle popolazioni "Liburne" pre romane, quella degli "Asilii", spiccava per importanza, tenore di vita e abitudini cultuali , queste ultime incentrate sul culto della dea "Cupra" (culto collegato,collegata,molto pobabilmente tramite la conchiglia "ciprea" sia ai culti misterici della Dea Madre Mediterranea, sia a quelli più specifici della Dea Venere). E' molto probabile che i misteriosi "Liburni" e "Asilii" non siano stati altro che comunità locali Sabine o para-Sabine già in contatto,in epoca Greca pre-classica, con Creta e la sua potenza marinara. In tale periodo il litorale appare abitato. E' anche segnalata una situazione di protettorato del santuario della Dea da parte degli Etruschi, in cerca di sbocco sull’Adriatico più meridionale di Spina. Il tentativo non deve aver avuto lungo successo (ciò è anche forse correlabile con la controversa questione sugli originali costruttori della cinta muraria megalitica di Fermo).



PERIODO ROMANO


a presa di Asculum e l'annichilimento della potenza militare Picena pongono l'insediamento di Marano a tutti gli effetti come Provincia Picena della Roma Repubblicana. L'egemonia culturale Romana sulla zona rimarrà una costante storica fino all'epoca attuale. Marano segue le note vicende della storia Romana (tarda Repubblica,Guera Civile,Impero,Decadenza Imperiale) senza particolari caratterizzazioni che la discostino dal quadro locale Romano-Piceno. Il litorale anche in questa epoca,per altro non priva di periodi di pirateria, appare abitato.
IL PRIMO MEDIOEVO

E' difficile, nel periodo di transizione tra tardo Impero Romano e i cosiddetti Secoli Buii, rinvenire tracce di insediamenti sul litorale, ma appare significativo che i pochi resti di abitazioni risalenti a tale epoca segnalino grosse "Domus" residenziali e non più fitto abitato comune. E' probabile che soltanto famiglie di notevoli mezzi potessero ormai permettersi residenze tranquille in località così esposte e pianeggianti. I noti torbidi del tardo impero e delle grandi migrazioni sembrano fornire un plausibile sfondo a questa diradazione dell'abitato litoraneo.
VI SEC. - 1050 circa

Pur mancando tracce sicure di insediamenti Goti e Longobardi la dinamica di arroccamento sul colle di Marano (e di abbandono del litorale, su cui comunque continua ad operare la struttura portuale) appare chiara e marcata. E' senz'altro da ipotizzare una situazione di insicurezza e pericolo di probabile origine meridionale e medio-orientale (probabilmente gli Arabi in espansione, seguiti poi dall’Impero Ottomano). Questo periodo vede la formazione dello Stato della Chiesa e del Regno delle Due Sicilie, e la mutazione del "Picenum" in Markie (sotto gli Ottoni 962-1014 d.c.). Tale trasformazione è anch'essa indice della nascita di un'embrionale identità "Europea", chiaramente e in contrasto tanto con Arabi e Ottomani (pagani) quanto con il potente Impero di Bisanzio.Gli indiscussi protagonisti di questa contrapposizione, per la nostra costa, appaiono senz’altro i Normanni. E' ben probabile infatti che soltanto il loro spirito di iniziativa,all’epoca, abbia evitato alla zona l'assorbimento nell'Impero Bizantino. Dopo la prima Crociata, l’identità dei luoghi appare di nuovo stabile.

DAL 1100 AL 1827 (scontro di Navarino)
Tutte le vicende di questo lungo periodo sono da vedersi alla luce della costante e progressiva affermazione Ottomana in Europa, e a quella altrettanto astuta e inesorabile di Venezia verso il Medio-Oriente. Il culmine di questo periodo appare senz’altro il XVI secolo che dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453)


E l’arresto dei Turchi a Lepanto (1571).



Nel primo decennio del XVIII secolo l’Adriatico è ormai al sicuro da flotte militari Ottomane, pur se la pirateria e la tratta di schiavi sono ancora presenti. Lo scontro di Navarino (1827) vede l’estromissione degli Ottomani da quasi tutto il Mediterraneo. In conclusione,secondo noi, non deve essere stato del tutto casuale che il colle di Marano sia stato sondato scientificamente dai figli della generazione che assistette all’evento di Navarino. Un insediamento come quello di Marano appariva ormai, probabilmente non più conveniente e razionale. (22)

Date principali:
-arrivo dei Turchi nell'Adriatico
-presa di Bari Otranto e Gallipoli
-prima Crociata
-altre Crociate
-caduta di Bisanzio
-caduta dell'Albania
-caduta dei Balcani
-caduta della Croazia
-caduta della Serbia
-caduta di Ciprio
-battaglia di Lepanto(1571)
-battaglia di Kahlemberg(Vienna)
-scontro di Navarino(1827)

martedì 29 aprile 2008

Profilo storico


Il profilo storico dell'insediamento di Marano (Cupra Marittima alta) appare archeologicamente caratterizzato da una alternanza di presenza di abitato sul litorale e di suo abbandono per arroccarsi sulle alture. Tale arroccamento appare privo di soluzione di continuità dall’alto Medioevo a circa la metà del XVIII secolo, epoca in cui si possono riscontrare le prime timide tracce moderne di reinsediamento sul litorale. Tale reinsediamento, inizialmente molto sporadico e graduale, appare poi aumentare esponenzialmente con l’unità d’Italia e la generazione immediatamente successiva al 1860. Scopo del presente studio è un tentativo iniziale di interpretazione iniziale di tale singolare fenomeno pendolare. Il centro abitato di Marano appare infatti contrassegnato sin dal primo Medioevo da un fenomeno di deterioramento continuo e costante del suo patrimonio edilizio, di estrema gravosità economica per la comunità residente. Tale fenomeno appare, a prima vista sia caratteristico dell’insediamento, sia enigmatico; e altrettanto enigmatico appare, sempre a prima vista che non ci si sia resi conto della natura endogenamente franosa del colle fino al 1870. Tale fenomeno appare paradossale all'estremo eppure senz'altro incontrovertibile.
Il dirupamento costante dell'abitato di Marano, infatti, risulta documentato senza soluzione di continuità dall'inizio del Medioevo. Non può non colpirci l'attribuzione continua di un fenomeno così persistente e oneroso per la comunità a semplice esposizione alle intemperie e a supposta presenza di acque sotterranee . Soltanto i sondaggi sistematici del 1870 stabiliscono, prima in maniera fortemente indiziaria, poi in maniera scientificamente probante la franosità endogena del colle. Che tale tipo di osservazione ottenuta mediante l'apposizione di marcatori nelle gallerie di sondaggio possa essere del tutto sfuggita alle epoche precedenti, e specialmente agli strati più umili della popolazione ci appare molto poco probabile. Se dal periodo preistorico a quello della decadenza dell’Impero Romano la mancanza di documenti superstiti può spiegare l’assenza di ogni rilevamento del fenomeno nel periodo Medioevale la documentazione di continua attività di riparazione edilizia è costante, e non raramente di tipo strutturale (mura,torri ecc ).

Per tentare di spiegare tale fenomeno diviene necessario supporre una vera e propria repulsione per gli abitanti dei luoghi ad abitare il litorale e dell’operare di una forza attrattiva verso l'insediamento sul colle, pur costoso in termini economici. L'unica problematica che si manifesta senza soluzione di continuità dagli albori del Medioevo (circa 600 d.C.) alla prima metà del 1800 d.C. nella zona appare essere, senza dubbio, l’iniziale irruzione della pirateria Araba
seguita poi da quella dell'Impero Ottomano nell'Adriatico. Tale realtà minacciosa, per gli indigeni, che coesisteva con traffici anche fitti e pacifici, e profiqui per entrambe le parti, pur spesso belligeranti (persino in modo atroce, a periodi) non può essere, secondo noi consistita nell'impedimento commerciale semplice, ma deve rifarsi ad una minaccia, e costante e concreta per la popolazione di semplici agricoltori e pescatori dell’area. È necessario ipotizzare che Nel millenio abbondante gia indicato, sia esistito un vero e proprio commercio di esseri umani; e ciò probabilmente su entrambe le sponde dell'Adriatico, campo naturale di incontro e scontro delle grandi potenze storiche dell’area, Istanbul sulla direttiva sud orientale, e Venezia su quella nord orientale, con, alle spalle Vienna e Augsburg. Questa situazione che a noi appare più caratteristica di epoche preistoriche che di epoche civili e relativamente civili deve avere caratterizzato la costa di Marano per ben oltre un millenio. E Più che stupirci di tale sicura realtà, un indagatore non troppo gravato da pregiudizi non può fare a meno di concludere che il vero fenomeno singolare appare essere la pressoché totale rimozione di quasi ogni memoria del fenomeno nella popolazione.

PROTOSTORIA PICENA
Dopo una presenza umana sui colli circostanti risalente senz’altro al Mesolitico, il colle di Marano appare e abitato e centro cultuale di spicco nella penisola già all'epoca delle prime tracce culturali "Picene" (IX- X secolo a.C. ). Una delle popolazioni "Liburne" pre romane, quella degli "Asilii", spiccava per importanza, tenore di vita e abitudini cultuali , queste ultime incentrate sul culto della dea "Cupra" (culto collegato,collegata,molto pobabilmente tramite la conchiglia "ciprea" sia ai culti misterici della Dea Madre Mediterranea, sia a quelli più specifici della Dea Venere). E' molto probabile che i misteriosi "Liburni" e "Asilii" non siano stati altro che comunità locali Sabine o para-Sabine già in contatto,in epoca Greca pre-classica, con Creta e la sua potenza marinara. In tale periodo il litorale appare abitato. E' anche segnalata una situazione di protettorato del santuario della Dea da parte degli Etruschi, in cerca di sbocco sull’Adriatico più meridionale di Spina. Il tentativo non deve aver avuto lungo successo (ciò è anche forse correlabile con la controversa questione sugli originali costruttori della cinta muraria megalitica di Fermo).
(AGGIUNGERE IN APERTURA RIFERIMENTI AI REPERTI NEOLITICI,MESOLITICI E PAELOLITICI?)


PERIODO ROMANO


a presa di Asculum e l'annichilimento della potenza militare Picena pongono l'insediamento di Marano a tutti gli effetti come Provincia Picena della Roma Repubblicana. L'egemonia culturale Romana sulla zona rimarrà una costante storica fino all'epoca attuale. Marano segue le note vicende della storia Romana (tarda Repubblica,Guera Civile,Impero,Decadenza Imperiale) senza particolari caratterizzazioni che la discostino dal quadro locale Romano-Piceno. Il litorale anche in questa epoca,per altro non priva di periodi di pirateria, appare abitato.


IL PRIMO MEDIOEVO

E' difficile, nel periodo di transizione tra tardo Impero Romano e i cosiddetti Secoli Buii, rinvenire tracce di insediamenti sul litorale, ma appare significativo che i pochi resti di abitazioni risalenti a tale epoca segnalino grosse "Domus" residenziali e non più fitto abitato comune. E' probabile che soltanto famiglie di notevoli mezzi potessero ormai permettersi residenze tranquille in località così esposte e pianeggianti. I noti torbidi del tardo impero e delle grandi migrazioni sembrano fornire un plausibile sfondo a questa diradazione dell'abitato litoraneo.
VI SEC. - 1050 circa

Pur mancando tracce sicure di insediamenti Goti e Longobardi la dinamica di arroccamento sul colle di Marano (e di abbandono del litorale, su cui comunque continua ad operare la struttura portuale) appare chiara e marcata. E' senz'altro da ipotizzare una situazione di insicurezza e pericolo di probabile origine meridionale e medio-orientale (probabilmente gli Arabi in espansione, seguiti poi dall’Impero Ottomano). Questo periodo vede la formazione dello Stato della Chiesa e del Regno delle Due Sicilie, e la mutazione del "Picenum" in Markie (sotto gli Ottoni 962-1014 d.c.). Tale trasformazione è anch'essa indice della nascita di un'embrionale identità "Europea", chiaramente e in contrasto tanto con Arabi e Ottomani (pagani) quanto con il potente Impero di Bisanzio.Gli indiscussi protagonisti di questa contrapposizione, per la nostra costa, appaiono senz’altro i Normanni. E' ben probabile infatti che soltanto il loro spirito di iniziativa,all’epoca, abbia risparmiato alla zona l'assorbimento nell'Impero Bizantino. Dopo la prima Crociata, l’identità dei luoghi appare di nuovo stabile.


DAL 1100 AL 1827 (scontro di Navarino)
Tutte le vicende di questo lungo periodo sono da vedersi alla luce della costante e progressiva affermazione Ottomana in Europa, e a quella altrettanto astuta e inesorabile di Venezia verso il Medio-Oriente. Il culmine di questo periodo appare senz’altro il XVI secolo che dopo la caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453)


E l’arresto dei Turchi a Lepanto (1571).



Nel primo decennio del XVIII secolo l’Adriatico è ormai al sicuro da flotte militari Ottomane, pur se la pirateria e la tratta di schiavi sono ancora presenti. Lo scontro di Navarino (1827) vede

l’estromissione degli Ottomani da quasi tutto il Mediterraneo. In conclusione,secondo noi, non deve essere stato del tutto casuale che il colle di Marano sia stato sondato scientificamente dai figli della generazione che assistette all’evento di Navarino. Un insediamento come quello di Marano appariva ormai, probabilmente non più conveniente e razionale. (21)


Date principali:
-arrivo dei Turchi nell'Adriatico
-presa di Bari Otranto e Gallipoli(?)
-prima Crociata
-altre Crociate
-caduta di Bisanzio
-caduta dell'Albania
-caduta dei Balcani
-caduta della Croazia
-caduta della Serbia
-caduta di Ciprio
-battaglia di Lepanto(1571)
-battaglia di Kahlemberg(Vienna)
-scontro di Navarino(1827)

mercoledì 23 aprile 2008

Zone pericolose nell' area del nostro studio

Il comitato scientifico e tecnico ha sviluppato un quadro programmatico delle attività strutturate in relazione ai diversi tipi di fenomeni naturali, essi sono applicabili e potranno essere realizzati nei diversi contesti geografici, locale, nazionale, regionale, globale, in questo contesto prendiamo in considerazione il nostro litorale adriatico.

1) identificazione delle zone pericolose: identificare una zona locale nel nostro studio, poichè vogliamo che il nostro progetto venga portato a conoscenza delle istituzioni scientifiche, governative ecc.
2) valutazione della vulnerabilità e del rischio, analisi costi/benefici: in questa situazione sono diversi i fattori da valutare es. la preparazione e l'esperienza della popolazione sulle calamità naturali; le zone esposte al pericolo, quali ferrovia,autostrada, strada statale che sono localizzati sotto alle falesie costiere oggetto del nostro studio. I dati relativi alla pericolosità e vulnerabilità forniscono una previsione e una stima delle perdite attese e del rischio, che servirà per studiare i costi/benefici di un probabile intervento pre-disastro.
3) sorveglianza,previsione,allarme: necessitano di maggior diffusione e dell'istallazione e incentivazione delle reti di sorveglianza,che devono essere intraprese dalle stesse istituzioni che effettueranno la valutazione della pericolosità. La risposta all'emergenza è gestita dalle autorità pubbliche, ad esempio il servizio di protezione civile,
aspetta a loro il compito di decidere lo stato critico dell'evento e il successivo rilascio dell'allarme.
4) misure preventive a lungo termine: misure da predisporre per ridurre la vulnerabilità della popolazione e delle strutture (abitazioni, zone industriali, aree agricole ecc.) nell'area oggetto del nostro studio, si dividono: in a) misure non strutturali: leggi e piani locali necessari per dare una base amministrativa per ogni misura di prevenzione;
b) misure strutturali: includono applicazione di codici e tecniche di costruzione appropriati, opere ingegneristiche ecc.
5)misure protettive e preparazione a breve termine: in risposta all'esistenza di un pericolo conosciuto, di una previsione ed un preavviso di un imminente fenomeno es. abbiamo visto quali sono le diverse variabili che possono determinare il possibile fenomeno franoso nell'area del nostro studio, per ridurre la vulnerabilità delle popolazioni del litorale adriatico.
6) misure di pronto intervento: ha lo scopo di mitigare le conseguenze dannose di un fenomeno naturale, si tratta di un pronto intervento realizzato in maniera coordinata ed inter-organizzativa: Protezione Civile;


per avere piena efficacia sono importanti, una buona educazione del pubblico, applicazione di tecnologie efficaci, trasferimento di tecnologie appropriate, ricerca per lo sviluppo di nuove tecnologie e nuove politiche di riduzione dei disastri naturali;

Nell'eventualità che si verifichi un fenomeno di instabilità del suolo, nell'area del nostro studio, gli enti Comunali e la Protezione Civile dovranno rispettare un piano di emergenza descritto ,dai punti sopraelencati. Gli elementi più a rischio sono le abitazioni, le vie di comunicazione: strada statale, autostrada, ferrovia,sottostanti alle falesie costiere.(20)

Gestione delle emergenze

La difesa delle calamità naturali e delle emergenze deve essere fondata su tre azioni complementari:

· PREVISIONE: del momento, tipo e dell' intensità propri dell'evento calamitoso e dell'ampiezza degli effetti che esso può avere sul sistema sociale, economico e industriale;

· PREVENZIONE: da mettere in atto per scongiurare il verificarsi dell'emergenza o almeno ridurre le conseguenze;

· PREPARAZIONE: della comunità a reagire con efficacia all'evento critico;

LA PREVISIONE: di un'emergenza dipende dalle caratteristiche fisiche e dal reale grado di conoscenza che gli esperti hanno del fenomeno che la determina ; gran parte dei fenomeni naturali potenzialmente calamitosi è ancora scarsamente conosciuta dagli scienziati.
Per questo vengono applicate leggi di tipo probabilistico che si fondano su un'interpretazione del sistema in termini statistici; per far ciò è necessaria la conoscenza del passato attraverso un lavoro di analisi delle fonti storiche e dei documenti disponibili.
Questi dati incerti espongono alla possibilità di un "falso allarme" che comporta enormi disagi di tipo psicologico, sociale ed economico,l'evacuazione, può determinare una forte sfiducia nei confronti degli amministratori locali e degli esperti responsabili della misura cautelativa adottata.
LA PREVENZIONE è il complesso di accorgimenti da predisporre al fine di aumentare le difese degli elementi fisici, sociali ed economici che compongono il sistema considerato, nei confronti degli eventi calamitosi considerati. Immediatamente dopo il verificarsi di un fenomeno calamitoso, che comporti una lacerazione,la popolazione organizza una risposta o reazione al disastro. In questo drammatico periodo, la comunità colpita si ritrova da sola a reagire alla calamita, la solidarietà tra la gente aumenta, il personale tecnico e sanitario locale si adopera a far fronte alla situazione in attesa degli aiuti istituzionali.
Più la popolazione è consapevole del pericolo e delle misure necessarie a contrastarlo e ridurre le conseguenze, tanto più essa sarà capace di organizzarsi per salvare il maggior numero di vite e beni. Quindi un efficace strategia della gestione delle calamità è d' importanza fondamentale per una ripresa delle attività e per limitare più possibile i danni. La vulnerabilità del sistema locale ai fenomeni pericolosi aumenta con il progressivo sviluppo socio-economico della comunità locale.
La prevenzione si fonda sulle varie misure da predisporre affinché il fenomeno naturale, per quanto violento, non si trasformi in disastro.
Purtroppo allo stato attuale è quasi impossibile prevenire la calamità, ma perlomeno è possibile ridurre le conseguenze. Un' efficace preparazione dipende dalla consapevolezza del pericolo.
Bisogna fare un approfondito censimento delle risorse disponibili, e dei fattori locali di vulnerabilità.
Le autorità con la partecipazione della popolazione devono formulare uno scenario d'emergenza e predisporre un piano d' intervento in caso d'emergenza.
La preparazione necessita della partecipazione della gente ad iniziative di prevenzione, ricerca e soccorso, una manutenzione accurata delle costruzioni e dei manufatti in genere, della salvaguardia delle risorse naturali e del controllo permanente del territorio.
Prevenzione, previsione e preparazione fanno parte delle attività di mitigazione delle calamità; tutte quelle azioni da intraprendere prima dell'evento naturale si verifichi al fine di ridurre l'importanza delle conseguenze.(19)

Pericolosità Vulnerabilità e Rischio

Fin dall'antichità le calamità naturali hanno occupato una posizione importante nell'immaginario collettivo. Lo sfruttamento irrazionale delle risorse naturali comporta a volte l'innesco di fenomeni naturali calamitosi o l'accelerazione di quelli già in atto. Ne è un esempio lo scavo estensivo dei pendii rocciosi o franosi per la costruzione di strade e di infrastrutture, che determina l'instabilità dei versanti con pericolo di frane o cedimenti del terreno.
Anche i disboscamenti selvaggi che servono a produrre legname e terre da coltivare o causati da grandi incendi espongono i pendii a frane e le vallate sottostanti ad alluvioni improvvise o all'inaridimento diffuso. Bisogna studiare le calamità naturali tenendo anche conto della rapidità dei mutamenti sociali, dell'iperurbanizzazione, all'incremento delle concentrazioni industriali e all'aumento del valore economico e sociale attribuito al territorio. L'Ufficio del Coordinatore delle Nazioni Unite per il soccorso in caso di catastrofe(UNDRO) ha dato la definizione di una serie di concetti utili nella gestione delle calamità naturali:



· PERICOLOSITA' (Hazard): probabilità che un evento naturale "pericoloso" di date caratteristiche, si verifichi in un intervallo di tempo definito;

· ELEMENTO A RISCHIO (Element at risk): ogni elemento( persone, cose o animali) esposto al pericolo in un'area definita;

· VULNERABILITA' (Vulnerability): l'ammontare delle perdite subite da un elemento a rischio in seguito al riprodursi di un evento naturale di una certa intensità. La la vulnerabilità può essere espressa da scala 0 (nessun danno) a 1(distruzione totale);

· RISCHIO SPECIFICO (Specific Risk): le perdite (vite umane o danno socio-economico) attese in conseguenza del verificarsi dell' evento calamitoso;

· RISCHIO (Risk): probabilità di perdita di valore di un certo elemento esposto al pericolo;

· RESISTENZA (Strength) dipende dalle misure predisposte per ridurre le conseguenze della calamità, basata sull'efficacia delle azioni di preparazione e previsione intraprese.

Le definizioni riportate sono necessariamente di carattere generale, la valutazione del rischio e della vulnerabilità di un sistema non può limitarsi all'applicazione di regole generali. Però in sede progettuale è opportuno definire i livelli di rischio accettabili dal sistema e considerarne il peso nei piani programmatici di sviluppo, a breve, medio e lungo termine.(18)

Calamità e uomo

CALAMITA' e UOMO

Le calamità sono eventi che colpiscono la collettività, esistono due tipi di calamità,: quelle prodotte dall'attività umana, e quelle causate dagli agenti naturali.
Fanno parte del primo tipo la distruzione delle foreste e delle praterie, lo sfruttamento irrazionale delle risorse naturali, l'esplosione demografica, l'urbanizzazione selvaggia, l'immissione dei gas nocivi nell'atmosfera e altri interventi di questo genere.
Invece le calamità indipendenti dall'attività umana sono le variazioni climatiche, le inondazioni, i cicloni e le tempeste, le eruzioni vulcaniche, i terremoti l'instabilità del suolo......... il proliferare delle attività che danneggiano la natura derivano dalla scomparsa di una cultura popolare attenta è consapevole delle risorse disponibili, dal tenore di vita della popolazione, la sua capacità d'organizzazione e sviluppo, il livello culturale e la capacità di chi si occupa della politica della zona interessata di prevenire è gestire lo stato critico e di limitare le conseguenze.
Lo sfruttamento sbagliato della natura è legato ai bisogni economici locali e allo sviluppo industriale..
L'uomo è cosciente di avere sfidato la natura, e sa di poter prevenire e attenuare le conseguenze adottando una profonda politica di prevenzione e con l'applicazione nei piani regolatori per lo sviluppo urbano, industriale e rurale. Purtroppo è consuetudine che le risorse finanziarie che dovrebbero essere destinate alla prevenzione vengono erogate solo durante le fasi immediatamente successive ad una catastrofe per realizzare lavori di ricostruzione e recupero.
L'intervento umano a volte aumenta la gravità dei fenomeni naturali pericolosi o addirittura causa dei nuovi fenomeni, o essere responsabile della riduzione delle capacità di equilibrio dell'ecosistema naturale.
Uno dei fattori di prevenzione contro ogni tipo di calamità è una equilibrata distribuzione dei beni e risorse al fine di assicurare un tenore medio di vita soddisfacente ad esempio un'adeguata educazione giovanile. L'efficace prevenzione dei rischi passa necessariamente attraverso un elevato grado di maturità della società. Natura e uomo sono compartecipi ai fenomeni che coinvolgono la collettività umane, le specie animali e vegetali l'ambiente planetario nel suo complesso, rappresentano un rischio potenziale, tale da compromettere la qualità della vita. " La cultura ambiente" non è ancora riuscita a raggiungere " la massa critica" capace di orientare le scelte di sviluppo e le pratiche istituzionali. Nella totalità dei casi, manca una progettualità ambientale. Molte attività produttive, molti modi di usare l'ambiente e il territorio, così come l'atteggiamento di molti studiosi tra cui economisti, uomini di governo, sono indifferenti all'impatto ambientale e ai problemi dell'integrità ambientale. Sono molte le persone incapaci di apprezzare le bellezze naturali. Questo si evidenzia soprattutto in coloro che sono nati e cresciuti in città e che non sono più in grado di apprezzare un paesaggio armonioso. Il fatto di sentire qualcosa di armonico e una capacità dei nostri organi sensoriali coordinata dal cervello. Sono le cosiddette" percezioni della forma" questi processi che non derivano dalla ragione sono definiti" Raziomorfici" ovvero la percezione della forma si basa su un accumulo inconscio di diverse impressioni sensoriali, che vengono immagazzinate nel nostro cervello e all'improvviso, come se fossimo stati folgorati da un'idea, vengono messi in rapporto d'interrelazione, consentendo così una nuova conoscenza. Il fenomeno può essere paragonato ad una complicata calcolatrice o ad un computer. Se si ha un certo" gusto ecologico "se si sa interpretare un paesaggio e conoscere paesaggi naturali armonici, e a distinguere quelli rovinati dall'edilizia selvaggia, è questa percezione della forma che insegna a distinguere le armonie dalle disarmonie. Queste educazione nella percezione degli equilibri è la premessa per educare alla protezione della natura. Negli ultimi anni è stata avanzata l'idea di un ciclo di gestione dei disastri che va dall'evento calamitoso alle attività di prevenzione ad esso legate, ci sono anche le attività di risposta all'evento e al ripristino delle condizioni normali.
Come appare evidente, la tematica presenta aspetti globalmente complessi che si possono ricondurre a due grandi categorie di problemi:
1) fenomeni naturali;
2) degrado ambientale entrambi riconducibili a rischio ambiente.(17)

lunedì 21 aprile 2008

Norme riguardanti il Decennio Internazionale per la Riduzione dei Distastri Naturali

Con la risoluzione 44/236,l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha lanciato il decennio internazionale per la riduzione dei disastri naturali(International Decade For Natural Disaster Reduction - IDNDR).Secondo quanto stabilito dall’assemblea generale dell’ONU la comunità internazionale potrà dedicare una particolare attenzione nel campo della riduzione delle calamità naturali. E’ convinzione che soltanto mediante uno sforzo di collaborazione a livello mondiale si potrà rendere efficace la lotta ai disastri naturali. Scopo del decennio quindi è quello di creare lo sviluppo e l’impiego di metodologie integrate che sappiano raccogliere i dati necessari a diffondere ed applicare le tecniche di previsione e preavviso per la popolazione nel caso di una potenziale calamità. Inoltre occorrerebbe promuovere nuovi strumenti e metodi d’ informazione ed educazione che consentano di ottenere la partecipazione attiva della popolazione, la quale non deve rimanere passiva e riluttante nei confronti delle attività di mitigazione dei rischi. Durante i primi due anni del decennio internazionale sopra citato,venticinque esperti di varia nazionalità nominati dal segretario generale dell’ONU hanno provveduto a definire gli obiettivi specifici ed il programma delle attività di mitigazione preventiva delle calamità sia a livello nazionale che locale. Le linee guida di questa attività sono:
1. Valutazione dei rischi: tutti i fenomeni naturali che implicano un rischio potenziale dovranno essere identificati e portati all’attenzione delle autorità usando metodologie,simboli e termini specifici(esempio: nel nostro caso il territorio collinare che si estende tra Grottammare e Torre di Palme).
2. Piani di mitigazione a livello nazionale e locale che considerano la prevenzione, la preparazione e la regolamentazione per la riduzione dei pericoli ed il miglioramento della risposta di emergenza.
· Le autorità dovranno predisporre sia a livello nazionale che locale di un quadro legale necessario per realizzare le misure di mitigazione come pianificazione dell’uso del suolo, gestione delle acque, delle foreste e delle norme di costruzione.
· Le istituzioni nazionali e locali, responsabili della pianificazione, dello sviluppo, dell’organizzazione socio-economica, e del settore privato, dovranno assicurare l’attenzione ai livelli di rischio naturale durante le prime fasi di processi decisionali.
· Attuare misure di basso costo per prevenire il verificarsi o il ripetersi di fenomeni naturali evitabili (alluvioni,frane,incendi di foreste ecc.).Quest’ultimi dovranno ricevere un’adeguata attenzione e una priorità di finanziamento.
· Tutte le istituzioni accademiche, le varie scuole di ingegneria di architettura, pianificazione, economia, di pubblica amministrazione dovranno includere nei loro programmi concetti e misure di riduzione delle calamità applicabili a livello locale.
· Le autorità nazionali e locali dovranno condurre periodiche verifiche ed aggiornamenti dei piani di emergenza per assicurare un’efficiente e pronta assistenza alle attività di preparazione in caso di disastro naturale. I piani basati su un più pronto utilizzo delle risorse locali,dovranno riguardare ogni tipo di rischio naturale presente nell’area (esempio: piani comunali).
· Le istituzioni accademiche, mediche e le scuole professionali dovranno provvedere alla formazione del personale responsabile della risposta immediata dopo la calamità. Deve essere attuata una formazione accademica che periodicamente svolgerà un’attività di praticantato.
3. Acceso rapido ai sistemi di preavviso locali, nazionali, regionali e ampia diffusione dell’allerta.
· Per ogni tipo di fenomeno pericoloso le istituzioni devono predisporre di un sistema di sorveglianza per prevedere i fenomeni e diffondere il preavviso e le informazioni appropriate alle popolazioni e alle autorità locali. Tutto questo preavviso è importante per stimolare azioni atte allo scongiurare o ridurre le conseguenze della calamità.
· Tutte le persone e in particolare i bambini esposti ai rischi dovranno seguire corsi sulle misure di sicurezza e di preparazione localmente applicabili.(16)

Si possono prevedere le frane ?







Le frane sono fenomeni in qualche modo prevedibili. Circa il 30% del territorio nazionale è considerato a rischio idrogeologico, buona parte è suolo abitato. Molto importante è la prevenzione, che sarebbe forse più corretto chiamare" convivenza con le frane".
La sorveglianza delle frane è infatti diventata uno dei campi di applicazione del software di controllo ambientale". Abbiamo osservato in Ancona durante la visita alla sala operativa della Protezione Civile (sala Soup) il 4 giugno dell'anno scorso i cosiddetti sistemi di “telemonitoraggio" o “controllo a distanza" effettuati grazie a speciali rivelatori automatici o "sensori". Automaticamente i dati vengono trasmessi ad un calcolatore che li confronta con valori di stabilità o di allarme, a questo punto il computer con particolari programmi, è in grado di elaborare previsioni di tendenza nel tempo o segnalare un' eventuale situazione di pericolo più o meno immediato.




Per un periodo di venti anni l’atteggiamento dell’opinione pubblica riguardo al modo di avvicinarsi o subire i fenomeni naturali e successivamente il danno cui molto spesso gli stessi sono collegati è cambiato. E' cambiato perchè ha scoperto che le morti e i danni si potevano evitare. Il passaggio della filosofia dalla catastrofe “annunciata” a quella “del si poteva evitare” è stato rapido. Dopo sett’anni senza una proposta di legge riguardante gli eventi calamitosi, con il terremoto dell’Irpinia prima, dove c’è stata la massima disorganizzazione, e successivamente con la vicenda del ragazzo caduto in un pozzo artesiano a Vermicino nel 92 sono state approvate le prime leggi riguardanti la protezione civile. Siamo rimasti affascinati da questa nuova filosofia del lavoro, l'esigenza di questo atteggiamento scientificamente valido che consente di ottenere interpretazioni corrette dei fenomeni naturali e relativi comportamenti concreti è molto presente. Sarebbe auspicabile controllare gli interventi umani sull'ambiente che potrebbero rivelarsi dannosi. Da quando la competenza del controllo geologico è stata trasferita alle Regioni, sono queste a concedere o negare i progetti dei nuovi fabbricati nelle zone a rischio, un'autorizzazione preventiva a seguito di una istruttoria tecnica, l'opinione comune dei ricercatori presso il CNR è la seguente: molto spesso basterebbe usare il buonsenso in quanto ci sono rischi individuabili bene anche ad occhio nudo esempio: colline dalla forma particolare, leggermente erose, o a forma di arco, la cui composizione e poco adatta a sopportare nuove pesanti opere di muratura, ancora oggi si continua a costruire sulla sabbia (in seguito abbiamo compiuto uno studio più approfondito considerando la sabbia come materia granulare), ancora validi sono i controlli effettuati con strumenti particolari come i pluviometri importanti per valutare le precipitazioni atmosferiche, i piezometri utili per il controllo del livello dell'acqua. L'accuratezza di queste misurazioni rende possibile, un'analisi più approfondita dell'instabilità. L'elenco delle cause che possono dare origine ad una frana è molto vario, ricordiamo uno dei motivi per cui il terreno scivola è il suo aumento di peso specifico dovuto ad un appesantimento o a un maggiore assorbimento di acqua (capillarità), un altro motivo può essere la minore coesione tra i suoi componenti, altre cause predisponenti possono essere la natura delle rocce, e del terreno, la giacitura degli strati, l'inclinazione del pendio, la presenza di acqua nel sottosuolo, a questi si sommano spesso interventi minori sconsiderati quali il disboscamento indiscriminato, un'edilizia selvaggia, ecc… Quando il danno è ormai fatto si tratta di mantenere la situazione sotto controllo e ci si augura che non sopraggiungono cause scatenanti come il prolungarsi di piogge intense o lievissimi movimenti sismici. Abbiamo visto in questo progetto, come la costituzione geografica delle colline del litorale marchigiano, sono formate da rocce sedimentarie di tipo clastico. E' interessante notare come la classificazione delle rocce clastiche e dei sedimenti sciolti si basa principalmente sulle dimensioni dei frammenti, se le dimensioni dei granuli sono superiori a due millimetri la loro forma è arrotondata e si parla di ghiaia, un accumulo di frammenti angolosi di dimensioni superiori ai due millimetri è chiamato pietrisco, quando la dimensione dei granuli presenta un limite inferiore di circa un micron si parla di sabbia, se questa sabbia per il processo della diagenesi è stata trasformata in roccia compatta, la roccia si chiama arenaria, se le dimensioni dei granuli sono ancora inferiori a un micron, il sedimento sciolto è denominato silt, con dimensioni dei granuli inferiore a 0,004 mm il sedimento sciolto è denominato argilla, all'interno di ognuna di queste classi granulometriche è possibile classificare ulteriormente le rocce clastiche sulla base della composizione mineralogica. In questo progetto, in riferimento alle dimensioni dei granuli delle rocce sedimentarie clastiche, abbiamo notato di essere in presenza della materia granulare, infatti i sedimenti sciolti sopraelencati sono solidi senza dubbio, ma se andiamo a considerare un cumulo di sabbia, possiamo affermare che non lo è propriamente, infatti se versiamo dall’alto della sabbia in un recipiente non nè prende la forma, non può essere considerato un liquido, poiché non si dispone orizzontalmente, ma a cono. E' non è sicuramente un gas. Probabilmente bisogna inventare un quarto stato della materia che potremmo chiamare "granulare".










Sabbia di mare Arenaria Arenaria


Numerosi fisici sono stati presi da un improvviso interesse per questa materia granulare, sul piano sia teorico che sperimentale. Questa materia granulare si incontra ovunque, nelle costruzioni e nei lavori pubblici, nel settore agro-alimentare, in farmacologia, ecc.. Abbiamo eseguito una ricerca riguardante la materia granulare, e abbiamo notato che i fisici e i matematici, dopo essersi preoccupati a lungo dell’ infinitamente piccolo, oggi si rivolgono verso oggetti in apparenza più comuni, infatti su questo terreno troviamo dei fenomeni inattesi, qualche volta il caos, spesso una grande complessità e talvolta delle leggi universali. Un cumulo di sabbia, è formato da un insieme di grani solidi che obbediscono alle leggi della meccanica classica. È molto difficile individuare il loro movimento poiché sono numerosi, ma un aiuto può venire dalla fisica statistica, esattamente come lo studio di un gas. Un gas è descritto con tre proprietà statistiche: la temperatura, la pressione e il volume. Queste grandezze, misurabili, corrispondono a delle proprietà medie delle molecole in scala microscopica. La domanda che ci poniamo è questa: il cumulo di sabbia si comporterà come un gas? Noi sappiamo che un gas è omogeneo tutte le particelle puntiformi sono nello stesso stato e percorrono delle traiettorie simili, qualsiasi sia la loro posizione iniziale. Un mucchio di sabbia è intrinsecamente eterogeneo, quando si vuole comprimere dei granuli di sabbia chiusi in una bottiglia trasparente, si nota che le forze si ripartiscono in modo estremamente ineguale: i grani compressi costituiscono delle specie di strade dove le forze si trasmettono per contatto" una rete di costrizioni" che circonda delle zone dove i grani non sono praticamente sollecitati.
Un cumulo di sabbia non può essere paragonata a un gas, ma si può quando si muove paragonarlo a un liquido? No non possiamo, per convincersene è sufficiente osservare una clessidra. Il flusso di sabbia nella clessidra resta regolare a mano a mano che la parte superiore si svuota, questo dimostra che la pressione al livello della strozzatura è indipendente dal livello dell'altezza della sabbia sovrastante. Per un liquido al contrario la pressione è proporzionale all'altezza. Questa differenza fra sabbia e liquidi deriva dallo sfregamento dei granelli sulle pareti: quando il recipiente è stretto, la pressione della sabbia si concentra quasi unicamente sulle pareti e non sul fondo. Questo sfregamento dei granelli, detto sfregamento solido, costituisce una delle chiavi del comportamento di un mucchio di sabbia. Fu Charles de Coulomb (celebre per la legge sull'attrazione elettrostatica) che nel 1773, volendo spiegare la stabilità delle scarpate di fortificazione, definì il coefficiente di attrito solido* di un cumulo di sabbia, legato al suo angolo di riposo massimo.

Se si versa della sabbia su un mucchio la cui pendenza fa con il suolo un angolo minore dell'angolo di riposo, l'attrito è sufficiente per opporsi al peso della sabbia, che resta nel punto dove è caduta. Ma se l'angolo del cumulo di sabbia è uguale o superiore all'angolo di riposo l'attrito è insufficiente e la sabbia scivola. Però l'attrito non riesce a spiegare tutto, infatti un cumulo di sabbia può rimanere stabile oltre questo angolo di riposo. L'esperienza mostra che le frane e anche le valanghe non si staccano che a partire da un altro angolo limite, maggiore di qualche grado. Dopo una frana o una valanga il cumulo si ritrova con un angolo inferiore, corrispondente circa all'angolo di riposo definito dallo scivolamento solido. La spiegazione è stata trovata nel 1885 dal fisico inglese Osborne Reynolds. Per deformarsi, egli dichiarò che un cumulo di sabbia deve dilatarsi. Infatti i grani sono embricati (cioè disposti come le tegole di un tetto) e per scivolare devono" districarsi" scostandosi leggermente, questo fatto si produce al di là di una certa inclinazione. Da qui la formazione di un secondo angolo, l'embricatura si aggiunge all'attrito solido per stabilizzare il cumulo. Questo effetto è chiamato "dilatanza".





per comprimere un mucchio di sabbia, per renderlo appuntito, o per fargli assumere diverse forme geometriche, abbiamo effettuato delle prove di compressione, poiché volevamo verificare se il sedimento sciolto dell'arenaria si poteva compattare e cementare. Siamo rimasti meravigliati come questa materia granulare si può trasformare, abbiamo costruito un faro chiamato Protezione Civile, è una rappresentazione del 1848 del castello di Marano (Cupra Marittima)




costruiti entrambi con mattoncini di arenaria compattati e cementati.(15)




domenica 6 aprile 2008

Il colle chiamato di Sant'Andrea sorge a quota 104 del F.125 dell'IGM denominato Cupra Marittima,l'omonimo castello occupava l'appendice a strapiombo sul mare tra il fosso delle Cupe, che lo divideva dalla collina su cui sorge Marano, in direzione nord e il fosso di Sant'Andrea in direzione sud.
La prima mensione del Castrum Sancti Andreae è del 1229 quando il Duca di Spoleto Rinaldo di Urslingen, vicario di Federico II per la marca di Ancona, concede a Ripatransone alcuni castelli tra cui quello di S. Andrea.In base a questa notizia si può ipotizzare la nascita del castello intorno alla fine del XII secolo.
In un documento del 1224, compare il nome Rinaldus Guarnerii de Sancto Andrea. Dopo la sua morte,avvenuta nel 1251, il fratello Crescenzio ed i figli Andrea, Aldobrandino e Grimaldo affidano il castello alla protezione del Comune di Fermo.Da allora il castello entrò a far parte del governo di Fermo e vi rimase fino all'unità d'Italia.Dell'antico insediamento castrense oggi rimane ben poco. I resti delle strutture fanno ipotizzare l'andamento e l'organizzazione del nucleo abitato. Il primo movimento franoso di cu si ha notizia è del 1569. lo storico locale G.B. Mascaretti così descriveva il fenomeno:Il castello di S.Andrea collocato su di una collina, come tante se ne scorgono da Pedaso a Grottammare, quasi tutte dirupate, nel 1569 in occasione di una intensa pioggia e di un mare tempestoso che flaggellava le pendici della collina, perdette la Chiesa pievanile e diciotto case le quali con la parte del colle su cui erano basate, si rovesciarono nel vicino Adriatico.
Nel corso del Seicento e del Settecento continua per il castello di S. Andrea un lento e inesorabile degrado che lo condurrà verso la metà dell'ottocento all'abbandono completo da parte degli abitanti.
Stessa sorte subì Castrum Fageto, antico nome del castello di Pedaso, che fu costruito prima dell'anno mille. Esso era situato"sul più alto pendio del monte" prospicente al mare e seguiva l'alternarsi delle vicende storiche e politiche di Fermo. Nel 1792 G.Colucci scrittore di storia picena così lo descrive: questo piccolo castello della diocesi e dello stato di Fermo, che esisteva in un collicello sopra l'imboccatura del fiume Aso presso il mare essendo malsicuro e pericolante ora si riedifica lungo la spiaggia e perciò verrà comodo e popolato;così nacque il nuovo borgo di Pedaso, le case costruite furono diciotto più la Chiesa parrocchiale disposte a doppia fila sotto la strada Aprutina oggi strada statale SS 16. (14)

Archivio blog